Stefano Serusi – DURU DURU

Stefano Serusi – DURU DURU
A cura di Andrea Lacarpia
31 ottobre / 10 dicembre 2022
I progetti sviluppati negli anni da Stefano Serusi possono essere visti come un racconto suddiviso in capitoli, in cui diverse possibili individualità vengono colte nel loro avvicinarsi alla spiritualità, vista come spinta interiore verso una conoscenza più profonda della realtà metafisica che trascende l’esperienza ordinaria. In queste visioni si uniscono diversi materiali, oggetti, immagini, parole e citazioni che, come frammenti di un enigma, sono indizi attraverso i quali ricostruire un’individualità o una scena. Lo spazio espositivo diviene teatro di una messa in scena senza attori in cui l’osservatore partecipa attivamente immaginando o impersonando chi può aver vissuto questi luoghi.
Gli elementi presenti nella mostra si riferiscono alla notte, vista come portale iniziatico tra la realtà e il sogno, che diviene scenario per l’immaginario incontro di un gruppo di persone che, per passatempo, affidano alla tavola Ouija la risoluzione di qualche mistero legato allo spiritismo o all’inconscio. Duru Duru è invece il nome di una ninna nanna che in Sardegna viene cantata sulla stessa musica del tipico ballo in cerchio, probabilmente originato da un antico rituale propiziatorio.
Strumento utilizzato per le comunicazioni medianiche commercializzato dal 1890 e diventato famoso come gioco da tavolo nella metà del XX secolo, nonché presente in molti film di genere, la tavola Ouija accoglie il pubblico che può prenderne una copia accanto ad una lampada Pipistrello, iconico pezzo di design creato da Gae Aulenti nel 1965, che con la sua luce fioca richiama un interno domestico notturno. Fin da subito sono chiari i riferimenti all’Art Nouveau che pervadono la mostra, proiettando in un’atmosfera fin de siècle rivisitata attraverso il Neoliberty degli anni ’50/’60 e la sinuosità della cultura visiva contemporanea.
A parete una strofa estrapolata dalla canzone dei Beatles Do You Want To Know A Secret si trasforma nell’invito della Ouijia stessa ad essere interrogata, tanto che le parole assumono un carattere ipnotico e sottilmente inquietante.
L’ambiguità dell’ultimo verso può richiamare l’interpretazione psicanalitica che vede la Ouija come uno strumento di scrittura automatica che può dar voce al nostro inconscio.
Scese le scale si entra in un ambiente in cui la speciale tavola Ouija, appositamente ridisegnata per la mostra con la collaborazione della graphic designer Manuela Nobile, è ingrandita assumendo un formato quasi immersivo, in cui diventa un tappeto ed in cui il suo cursore, la planchette, assume le dimensioni di un tavolino mobile, realizzato in marmo.
Attorno alla Ouijia vi è un cerchio di sedute formato da 8 cuscini che riproducono le principali fasi della Luna. Il tempo raccontato dalla mostra può non essere quindi quello di una sola notte, ma di diversi incontri per arrivare alla risoluzione di un mistero. La circolarità rimanda anche alle forme di ritualità collettiva che uniscono antichi riti e incontri ludici.
Come tipico della maggior parte dei giochi da tavolo, il mistero su cui concentrarsi per prendere confidenza con la Ouija non riguarda uno dei partecipanti ma può essere tratto da un caso celebre.
L’ultima sala svela che l’enigma investigato in questa occasione può essere la scomparsa di Antoine de Saint-Exupéry, un mistero mai del tutto chiarito per via del mancato ritrovamento del corpo dello scrittore. Un cancello riporta l’anno della sparizione di Saint-Exupéry, il 1944, un lasso temporale su cui concentrarsi per chiedere alla Ouija la risoluzione del mistero. Al pari delle false porte che nelle tombe arcaiche richiamano l’aldilà utilizzando una parete cieca che il visitatore non può superare che con l’immaginazione, oltre il cancello ritroviamo un muro che ci invita ad un attraversamento esclusivamente simbolico.